Archive for The truth is so boring

Intervallo

Nell’ultimo, ormai antico, post avevo assicurato che avrei scritto qualcosa di nuovo entro le successive ventiquattr’ore.

Beh, sono state ventiquattr’ore piuttosto lunghe, a quanto pare. Non voglio giustificarmi. O meglio, sì, vorrei giustificarmi con qualche scusa inattaccabile che mi faccia sembrare meno pigra e inconcludente di quanto non sia, ma mi manca il materiale. Potrei dire di essere stata molto impegnata con lo studio, che sarebbe anche vero; potrei ricordare che passo poco tempo a casa, e anche quella è pura verità. Ma la realtà è che non ci sono con la testa, mi va di isolarmi un po’ e allora tiro (più o meno involontariamente) fuori quella tiraculaggine che è notoriamente uno dei miei peggiori difetti. Mi butto e poi tiro i remi in barca, a fasi alterne. Io mi conosco e non mi sforzo neanche di migliorare.

Per il momento sono in pausa.

Stop me if you think you’ve heard this one before

Lo so che tre righe piazzate lì non fanno un post. Ma ho davvero tanto da fare e sto passando davvero troppo poco tempo a casa per mettere insieme un pensiero dotato di senso, uno che valga la pena condividere. Ci proverò nelle prossime ventiquattr’ore. Nel frattempo, le mie uniche attività degne di nota sono studiare e drogarmi di musica (ho di nuovo diciassette anni?!).

Fra l’altro (alla buon’ora, dirà qualcuno) ho scoperto gli Smiths.

Look who’s writing

Ho cambiato taglio di capelli al blog 🙂

Preludio ad altri cambiamenti, più sostanziali si spera

Un matrimonio e nessun funerale

I blog hanno questa graziosa caratteristica di trasformare una persona abitualmente dotata di un minimo di inventiva e forse addirittura di una certa verve linguistica in un individuo dislessico e graficamente balbuziente. Funziona più o meno così: fai un giro su internet, vedi che un sacco di gente ha un blog, decidi che se ne avessi uno tu lo faresti molto meglio. Scriveresti cose più interessanti, saresti arguto e incisivo e la gente ti amerebbe. Hai anche già in mente un titolo, qualcosa di molto moderno e metropolitano tipo “Crosstown traffic”, con una strizzata d’occhio al lettore agé e al musicista mancato . Hai mille idee, per una decina di post, tre racconti, due saggi, una sceneggiatura cinematografica e la bozza per uno spot pubblicitario. Fosse per te scriveresti anche sui tovaglioli di carta o sullla carta igienica.E allora fai il blog. All’inizio sei un po’ timido, non vuoi strafare. Cominci un po’ in punta di piedi, titubante, poi ti fai prendere la mano e scrivi due, tre post al giorno. Passa qualche lettore occasionale, qualcuno commenta, alcuni tornano più volte. Tu gonfi le piume, scrivi anche di qaunte volte sei andato in bagno. Poi, di colpo, più niente. Perché è scattata la sindrome del piedistallo: hai paura di deludere i tuoi lettori.

E’ una malattia infida. L’ho sempre avuta, che io ricordi: quand’ero ragazzina se un ragazzo mi faceva un complimento lo mandavo a cagare, avevo paura che parlando con me per più di tre secondi si sarebbe accorto che avevo i capelli crespi, che la mia conversazione era noiosa e che mi mangiavo le parole. Tanto valeva troncare tutto sul nascere, per non alimentare false speranze dalle due parti. Se mi capitava di conoscere delle persone nuove mi eclissavo il più possibile, in maniera direttamente proporzionale all’interesse che provavo per loro, perché temevo che approfondendo la mia conoscenza sarebbero rimaste inevitabilmente deluse. Anche a scuola, dove sul piedistallo sono sempre stata davvero, vivevo nel terrore di non essere all’altezza della mia fama.

E’ possibile che la sindrome del piedistallo spieghi con buona approssimazione l’evoluzione del blog-tipo, che dopo un certo numero di post si trasforma in un diario. L’ispirazione si inaridisce, la vena artistica svela i suoi limiti, il senso di inadeguatezza prende campo. Delle due l’una: o si molla tutto, o si scrive di tanto in tanto, regolarmente, per non sembrare proprio rinunciatari (a se stessi, prima che agli altri); di qui il diario.

Finita questa lunga premessa, mi accingo a raccontare brevemente gli avvenimenti dell’ultimo weekend.

Ho dormito molto, moltissimo. Direi una media di dodici ore per notte. Non so perché, non ero neppure stanca. Bé, forse per la notte fra sabato e domenica può aver contribuito una discreta bevuta, completamente al di fuori delle mie abitudini. Comunque, alla faccia dell’alcool, mai avuta una pelle così distesa.

La mezza ciucca che mi ha regalato sonni così pacifici deriva dal matrimonio al quale sono stata invitata sabato. Lo sapevo da tempo, e la questione vestito mi ha tormentata per un po’. Io non amo i vestitini tutti balze, fiori e colori pastello che si usa indossare in queste circostanze; ho quindi scelto un tailleur pantalone bianco panna, con sottili profili in raso, color perla. Con camicia in raso, color perla, e accessori marroni, compresi sandali e scarpe di pitone e una lunga collana d’ambra, vintage. Nell’insieme, sembravo spuntata da una puntata di Miami Vice, tanto che lo Gnu mi ha chiesto se, giacché io ero vestita come Sonny Crockett, lui doveva fare Rico.

Sono stata bene, comunque. Il ricevimento era sontuosissimo, nel parco di una splendida villa patrizia, e fra uno spumantino frizzante d’aperitivo, qualche bicchiere di bianco frizzante che durante il pranzo scivolava giù a meraviglia e un paio di brindisi col delizioso brachetto servito coi dessert, alle sei di sera attaccavo discorsi con gli sconosciuti. Non sono abituata a bere, e l’alcool mi rende eccessivamente socievole. Fra una portata e l’altra giravo per i tavoli a salutare e scambiare due parole con tutti, tanto che qualcuno mi ha chiesto (acidamente) se ero io la sposa.

Alle nove e mezza io e lo Gnu dormivamo come neonati davanti alla tv, a casa. Alle undici e mezza un certo rimorso di coscienza ci ricordava che i giovani usano uscire, il sabato sera, e lo Gnu accendeva la luce per costringerci al risveglio. Alle tre e mezza mi svegliavo di soprassalto, vestita, truccata, e con la luce accesa. Per la seconda sera di fila. Quindi in definitiva non è neppure colpa dell’alcool, forse starò diventando narcolettica.

I weekend sono brevi, quando li trascorri dormendo per il cinquanta per cento del tempo. Domani ricomincia la routine del lavoro, e direi che posso cominciare a contare i giorni da qui alla disoccupazione: meno di venti, una dozzina lavorativi. Tira un’aria da ultimi giorni di di scuola e sto già salutando tutti i clienti. Un po’ per educazione, un po’ perché qualcuno mi mancherà davvero, un po’ perché spero che la mia cliente miliardaria si ricordi della buonuscita che mi aveva mezzo promessa. Mi aspettano tempi di vacche magre, non c’è da andare troppo per il sottile: per il  momento quello che arriva, prendo. E dopo, la bohème, temo.

Impressioni di settembre

Lo so che ufficialmente è ancora agosto. Ma stamattina non si sarebbe proprio detto, con quell’aria fresca e l’odore della pioggia notturna che alle nove cominciava appena ad evaporare. Il sole scaldava la strada e i miei vestiti, e io camminavo socchiudendo gli occhi come i gatti.

Ho sempre questa sensazione che il vero inizio dell’anno sia a settembre. Capodanno mi innervosisce e mi rattrista, e mi fa pensare a cene pesanti e mal digerite, sale troppo calde pesanti di fumo e stelle filanti, abiti scomodi e sorrisi tirati, e fuori il freddo assassino che infiltra gli abiti troppo scollati. Invece settembre è tutto un fermento, un ronzio di idee e nuovi progetti, come una seconda primavera: mi fa pensare ai quaderni di scuola appena comprati, ancora tutti bianchi e con le pagine ordinate, all’astuccio pieno di matite ben temperate, ai libri nuovi con la copertina lucida e che quasi si aprono a fatica. Probabilmente per il resto del mondo quegli ultimi giorni di vacanza, con tutto quanto pronto per essere usato ma ancora lucido e perfetto nel suo cellophan, non sono un ricordo tenero e felice come lo sono per me. Avrà a che fare col fatto che io a scuola ci sono sempre andata volentieri, o forse con il mio feticismo per gli articoli di cancelleria. O magari c’entra il fatto che sono un’allodola, che mi piace svegliarmi presto e magari vedere l’alba, che mi piacciono gli inizi più delle conclusioni e che mi sento tranquilla solo quando ho un progetto in mente e davanti a me un po’ di strada da fare.

Comunque questo agosto settembrino mi piace da impazzire. In città non c’era nessuno, stamattina. Strade sgombre e un silenzio irreale, attraversavo pigramente lontano dal semaforo, fra un motorino e un autobus mezzo vuoto. Alle dieci ero già fuori dal parrucchiere, con la testa leggera e il portafogli sgonfio, troppo di buonumore per prendermela con la pettinatura da re leone che mi portavo a spasso. Mi sono infilata in un negozio, mi sono fatta i codini e ho speso quello che avevo ancora in tasca negli ultimi saldi, quelli in cui trovi tutto a cinque euro e non c’è nessuno a spintonarti perché il meglio è già andato e chi può è in vacanza.

A mezzogiorno era di nuovo agosto. Una parentesi, evidentemente. Caldo, persone sudate e cariche di borse sull’unico autobus che andasse a levante. A casa ho rimandato tutto finché ho potuto, e quindi devo ancora finire la valigia. Mi aspettano tre ore di viaggio e tante curve, ma parto volentieri. Avrei voglia di partire così, in tuta e con quel poco che può stare in una borsa, ma so che me ne pentirei dopo mezz’ora. Io non sono così, questa leggerezza non mi appartiene, dura poco più di un giorno e poi ho di nuovo la testa piantata a terra e i piedi nelle nuvole.

Io non viaggio leggera, purtroppo.

Trivia

Alla persona che è giunta sul mio blog cercando questo:

 yogurt gonfia lo stomaco

Eeeeeeeh, sì..

Non so proprio cosa dire a chi ha cercato una pipì lunga o  significato della parola caimano. Quello che voleva una lista di cose da portare in vacanza, invece, potrebbe imparare a fare la valigia da solo, alla sua veneranda età!

Contrariamente alle apparenze…

…non sono morta. Né dispersa. Ho solo tante cose da fare e poca ispirazione letteraria. Dovrei aggiornare il blog con diverse cose, fra le quali:

a) resoconto del viaggio in Austria e Germania con lo Gnu, per il ponte del primo maggio;

b) resoconto della Fiera del Libro a Torino, con relativi tentativi tragicomici di distribuire curriculum a ignari standisti;

c) resoconto delle mie lezioni di guida (se siano più tragiche o più comiche, non sta a me dirlo).

Ma a ciò ostano svariate impellenze, fra le quali cito arbitrariamente:1) lavorare;

2) finire il libro entro i primi di settembre (argh!!!!) per poter consegnare una bozza rivista dall'editore all'esame per il dottorato;

3) capire cos'è e come funge l'esame per il dottorato;

4) prepararmi per il Toefl entro i primi di giugno;

5) imparare a guidare.

Con grande rammarico e un certo senso di colpa, perciò, dichiaro il presente blog

FUORI SERVIZIO

per le prossime due settimane, trascorse le quali mi impegno ad emettere nuovamente segnali di vita.

Cordiali saluti

La Direzione

Effetti collaterali della sindrome da catena di montaggio

All work and no sleep make sugar go crazy

 All work and no sleep make sugar go crazy

All work and no sleep make sugar go crazy

All work and no sleep make sugar go crazy

All work and no sleep make sugar go crazy

All work and no sleep make sugar go crazy

All work and no sleep make sugar go crazy

All work and no sleep make sugar go crazy

Lo yogurt bianco non è yogurt (e questo post non è un post)

Questo weekend ho fatto alcune scoperte, innescate dalla quasi casuale comparsa nel frigo di uno yogurt Activia al naturale, bianco, intero.

Mi sono costretta ad assaggiarlo e ho dovuto constatare con sconcerto e disappunto che tra lo yogurt alla frutta e quello bianco non c'è quasi alcuna somiglianza, e se una qualche lontana parentela esiste deve trattarsi di una remota relazione genetica come quella che lega l'homo sapiens al lemure del Madagascar. Si sappia che il mio parere non è quello di un'inesperta o una neofita. Io di yogurt me ne intendo, ne mangio talmente tanto che periodicamente mi sensibilizzo e divento intollerante a qualunque tipo di latticino, fino al punto che l'ingestione di un decilitro di Zymil (o Zimyl?) delattosato ad alta digeribilità scatena bruciori gastritici e ulcerosi già nell'esofago. Ho una predilezione per i Vitasnella alla ciliegia, alla fragola o ai frutti di bosco, ma posso mangiare yogurt qualunque marca purché ai frutti rossi (in realtà mangerei quasi qualunque cosa, animale vegetale o minerale, se contenesse frutti rossi).

Quindi, se dico che lo yogurt bianco NON E' YOGURT, lo dico con cognizione di causa. Lo yogurt bianco è un formaggio. Come il mascarpone. Solo che sa vagamente di Fruttolo o formaggino Mio, con la consistenza di malta da muratore e un retrogusto acido intenso di prodotto andato a male. Per non limitarmi ad un giudizio superficiale, mi sono imposta di mangiarlo tutto: ho spremuto il vasetto dentro una tazza di quelle con la faccia buffa e col naso (c'è n'è almeno una quasi in ogni casa, non so perché) e l'ho mescolato con una generosa razione di Kellogg's Special K coi frutti rossi. Ne è risultato un'amalgama densissimo (la qual cosa dimostra che , come la malta da muratore, lo yogurt bianco solidifica a contatto con l'aria) con uno spiccato sapore di cereali scaduti.

L'ho finito tutto: evidentemente la mia insana concupiscenza per i Kellogg's Special K supera gli angusti limiti delle qualità organolettiche. Probabilmente anche i cani di Pavlov hanno iniziato così.

in treno # 1

Scrivo in treno, per la prima volta. E' una giornata orribile, grigia e piovosa, e il mio treno ha già malignamente accumulato più di 20 minuti di ritardo. Le dita sulla tastiera producono un rumore piacevolmente ovattato, e anche la sensazione tattile non sarebbe male, se non fosse per la precaria stabilità data dalla continua oscillazione del notebook sulle gambe. Perché, ovviamente, non c'è tavolino: sono in prima classe su un Intercity; ma è un Intercity normale, non un Intercity plus, e quindi non ci sono né tavolini né prese di corrente né nient'altro.
La scomodità, però, mi fa sentire più eroica; come una giornalista di guerra o una reporter di viaggi. E poi, finalmente mi sembra di aver fornito di senso questo costosissimo regalo di laurea.
Oggi sto pensando a molte cose. [E' difficile focalizzare con questo continuo beccheggio della tastiera, destra, sinistra, destra, sinistra, ma d'altra parte non posso proprio fare a meno di scrivere con le gambe accavallate, un po' perché è molto più elegante, e un po' perché mi scappa veramente tanta pipì.]
[Ecco, fatto, pausa pipì terminata. Non potevo proprio resistere. Mi deconcentrava. Avevo anche una sensazione spiacevole di impellenza, che mi impediva di fare frasi più lunghe di una decina di parole. Il che, a ben vedere, avrebbe anche un suo lato positivo, considerato come scrivo prolissa e involuta. D'ora in poi cercherò di scrivere più spesso quando mi scappa la pipì.]
[Ci sarebbe anche la questione del correttore ortografico; l'ho disattivato perché quando scrivo di filologia romanza mi modifica astutamente una parola ogni tre. Chinaski mi capirebbe. Però ora produco ogni sorta di refusi, scrivo senza vocali o solo con vocali, inserisco arbitrariamente doppie e triple e ogni tanto qualche parola si inclina spontaneamente in un corsivo. C'è da dire che la tastiera del portatile è sorprendentemente docile e morbida ma è anche un po più piccola di quella alla quale sono abituata, e quindi le dita a volte incespicano in tasti imprevisti o slittano in scivolata su funzioni che non conoscevo nemmeno (oggi, ad esempio, ho imparato che il corsivo si fa con ctrl + i).]
Dicevo. Scrivevo, anzi. Oggi sto pensando a molte cose. [E non crediate che non mi renda conto che un present continuous in un caso di questo genere è quanto meno arbitrario. Lo so, ma è stile. Anzi, è (ctrl + i) cifra stlistica. E poi, avrò pure ventisette anni, ma sono ancora gggiovane.]
Sto pensando a molte cose e la maggior parte sono tristi, deprimenti. E non giovano la pioggia che lacrima striature oblique sui finestrini del treno, né le canzoni di Battisti che mio papà mi ha imposto mentre mi accompagnava in auto alla stazione; anzi, se fermo un attimo lo zampettio sulle lettere e cerco di isolare le sensazioni, una specie di bolla calda e pesante mi si gonfia nello stomaco, mi chiude il torace e mi incurva le spalle. Non è solo la gastrite (come avrete già pensato voi che mi conoscete bene), c'è anche un retrogusto amaro e dolciastro assieme che sa di sconfitta, di polvere e di primi capelli bianchi, di stivali troppo usati e di macchie sulla valigia, di polsini sporchi di caffè e di capelli arruffati dall'umidità. Sa della malinconia patetica di ventisette anni buttati in giravolte su me stessa, balzi e guizzi e salti mortali, cadute rovinose e mani sbucciate, raggomitolamenti pensierosi. Beninteso, senza arrivare mai da nessuna parte. Ma mi avrete capita? Mi sarò fatta capire? Non credo. Sarà meglio partire da

I FATTI
[continua]