Archive for April, 2006

Life’s a bitch… but not now

Se mai qualcuno si stesse chiedendo cos’è vita… beh, questa è vita. Sono seduta al mio vecchissimo tavolo da giardino bianco, di quelli a doghe che si scrostano al primo sbalzo di temperatura. Questo in particolare è stato riverniciato più volte, così ha una superficie rugosa e irregolare, spessa di mani e mani di pittura e bolle e ringonfiamenti. Ho trovato una prolunga e una spina adatte nel capanno delle cianfrusaglie di mio papà, così ho potuto collegare il portatile alla presa elettrica del terrazzo, del vecchio tipo a due buchi. Il termomentro segna 29 gradi: mi sembra un’esagerazione, ma in effetti sono in costume e pantaloni della tuta. Ho anche su gli occhiali da sole, ma lo schermo è comunque troppo lucido e per vedere qulcosa devo strizzare gli occhi.

Sto per mettermi a lavorare sul libro, e sarebbe anche l’ora visto che sono le undici del mattino, e sono in piedi dalle otto meno un quarto; ma ho cazzeggiato molto e ho anche fatto un po’ di cose casalinghe, e non mi sento neppure tanto in colpa. iTunes ha deciso che devo ascoltare If you’re feeling sinister dei Belle and Sebastian; non avrebbe potuto scegliere brano più adatto: oggi è tutto silenzio e cantare di uccellini e se penso che sono in centro città mi sento felice e fortunata.

La primavera è scoppiata dappertutto. Ieri per strada avevo nelle narici l’odore dei glicini. Oggi c’è una brezza quasi impercettibile che a tratti solletica la pelle e si porta via un po’ di caldo… e porta un lieve aroma di salsedine, o forse sono io che ora avrei voglia di camminare sugli scogli senza scarpe, sentire il bagnato sotto i piedi e allargare le braccia per tenermi in equilibrio. I miei gatti si rotolano al sole ammiccando con gli occhi dragheschi. Adesso scrivo per un po’, poi mi rotolerò anch’io.

Sono sicura che andrà tutto bene, tutto quanto.

I love you, honey bunny

chocolate bunnies rule

Effetti collaterali della sindrome da catena di montaggio

All work and no sleep make sugar go crazy

 All work and no sleep make sugar go crazy

All work and no sleep make sugar go crazy

All work and no sleep make sugar go crazy

All work and no sleep make sugar go crazy

All work and no sleep make sugar go crazy

All work and no sleep make sugar go crazy

All work and no sleep make sugar go crazy

Questo l’ho fatto io…

…con artpad

Seconde riflessioni

Lungi da me l'intenzione di trasformare questo blog in qualcosa di politico. D'altra parte è appena nato, e non ha ancora una sua personalità ben definita: non ce l'ho io, figuriamoci il blog. Però tutta questa stranissima vicenda elettorale mi ha coinvolta e colpita, e ha messo in moto quei due o tre neuroni adibiti al pensiero analitico che in genere stanno pigramente assopiti in un angolo del mio cervello.

Sul sito del Corriere – che ultimamente frequento spesso perché a casa i mia i quotidiani arrivano la sera assieme a mio papà, e quindi io in genere mi ritrovo a leggerli la mattina dopo mentre faccio colazione, quando sono già vecchi di un giorno – sul sito del Corriere, dicevo, ho letto questa cosa interessante:

"Berlusconi torna in vantaggio grazie al suo fiuto nel captare il populismo contemporaneo. Che non è diffuso solo in Italia: è vivo in America, dove George W. Bush è il presidente più populista delle ultime generazioni, serpeggia in Francia e in Germania. L'identità dei Paesi ricchi è minacciata dalla nuova economia, l'opinione pubblica è disorientata dall'emigrazione, dalla globalizzazione, da campagne elettorali via via più ciniche, dominate dalle lobby. L'opinione pubblica si aliena dal dibattito politico e Silvio Berlusconi si dimostra, dal suo debutto in campagna elettorale nel 1994, maestro nel presentarsi come "al di sopra della politica", erede di una storia "diversa". Ha puntato l'intera posta su questa virtù, con apparente successo. Naturalmente il non essere mai vero leader politico, giocando sempre a fare l'outsider, si rivela anche il suo tallone d'Achille una volta eletto, perché non ha la pazienza, e la capacità di unire, degli statisti. Una carriera da candidato perfetto e da mediocre primo ministro."

Sono parole del politologo americano Charles Kupchan, citato da Gianni Riotta: un'ottima sintesi della stupefacente parabola di Berlusconi, al quale si deve riconoscere un grande fiuto nel percepire lo stato dell'opinione pubblica e una notevole capacità di sfruttarlo a proprio vantaggio. Ma l'incredibile esito di queste elezioni (perché tutti sapevamo che sarebbe stato un testa a a testa, ma chi avrebbe immaginato fino a questo punto?), con la sensazionale rimonta che loro malgrado anche i detrattori hanno dovuto ammirare, a mio parere ha reso innegabile la realtà che il linguaggio politico e mediatico di Berlusconi, populista, demagogico e approssimativo com'è, funziona. Il centrosinistra non ha potuto competere proprio perché non ha fatto suoi i tempi e i modi di questa politica postmoderna che Berlusconi in Italia ha inventato e impersonato. L'uso spregiudicato e massiccio dei media, per quanto criticabile, lo ha fatto arrivare in casa di tutti, in ogni edizione del telegiornale, su tutti i quotidiani e sui tabloid; e mentre cercavamo (cercavo) di autoconvincerci (-mi) che Prodi, è vero, ha meno presenza scenica, ma più competenza tecnica, lui troneggiava al centro dei discorsi di tutti, dal parlamento al bar sport. A quanto pare, la nuova politica esige questo: protagonismo e semplificazione; mostrarsi molto, ovunque, e dire cose semplici, che la gente capisca senza dover attivare tutta la corteccia cerebrale e soprattutto che voglia sentirsi dire.

La semplificazione non mi piace. La temo molto, perché al riscontro dei fatti difficilmente le cose sono semplici, e a maggior ragione la politica non lo è; e allora semplificare programmaticamente il discorso politico significa creare una discrepanza fra il paese descritto e il paese reale, con i risultati che gli ultimi cinque anni governo mostrano chiaramente. Il contrasto fra l'impoverimento dichiarato e quello percepito; fra l'Italia che nei discorsi del premier si è guadagnata il rispetto del mondo, e nei fatti è invece oggetto di ridicolo; fra l'ideale del lavoro flessibile delle mille possibilità e la realtà di quello precario dell'insicurezza cronica: questo mi fa paura, soprattutto perché mi sembra che molta gente preferisca tuttora credere a quello che vede in tv piuttosto che a quello che le accade intorno.

Ma da un certo punto di vista il populismo berlusconiano ha cambiato le regole del gioco politico, e di questo dovrebbe prendere coscienza anche il centrosinistra; è forse necessario rinnovarsi, imparare ad arrivare alla gente, colmare quel divario che fa apparire una certa sinistra come il regno della "politica di professione" nel senso più deteriore che si può dare a quest'espressione (un senso molto da prima repubblica) in contrapposizione alla politica ruspante e sanguigna di Berlusconi (ma anche della Lega). Forse bisogna imparare a venderla, questa politica di professione, renderla meno impopolare, spiegarsi e spiegare alla gente da capo, per filo e per segno, che il ruolo dell'uomo politico è rappresentare il cittadino, non essere il cittadino, e prendere decisioni complesse grazie ad una competenza che il cittadino medio non ha.

Temo di essere stata confusa e ingarbugliata, nel pensiero e nei discorsi. Ma d'altra parte la politica non è mai stata il mio forte, manco di linearità. Diciamo che anche questo è stato uno sfogo.

Prime riflessioni

Ho retto finché ho potuto in attesa dei risultati definitivi, che non arrivavano mai e in pratica tuttora non sono ancora arrivati (per il Senato si aspettano i 6 seggi assegnati dagli italiani all'estero), poi sono crollata. In casa mia l'atteggiamento è gradualmente mutato dal goliardico tifo simil-calcistico all'incredulità, fino alla sensazione di essere sconfinati in un universo parallelo: pari? PARI??? Sarà pure una straordinaria dimostrazione di efficienza democratica, ma a me questa sconvolgente altalena elettorale inquieta non poco.Di fatto, la situazione è paradossale e di difficile soluzione. Nuove elezioni? Mi sembra improponibile, e considerata l'altissima affluenza che si è avuta in questa tornata non so se gli equilibri potrebbero sbilanciarsi in maniera sensibile con una seconda votazione. Oltretutto, nel frattempo il governo uscente dovrebbe in sostanza prolungare il suo mandato, e visto il clima che si è creato sarebe un'impresa alquanto temeraria.La Grande Coalizione alla tedesca mi sembra proprio inapplicabile: già ci sono problemi con la Piccola Coalizione del centrosinistra! Il successo di AN e Rifondazione segnala una significativa radicalizzazione del voto e quindi della composizione parlamentare, ulteriore ostacolo ad una soluzione di questo tipo. E poi c'è l'annosa questione della reciproca delegittimazione dei due schieramenti, che credo impedisca qualunque tipo di cooperazione (come si dice bene qui).

Va detto che, se nei numeri non ha (ancora?) vinto nessuno, di fatto il centrosinistra ha perso. Ci siamo mangiati il solido vantaggio che fino a qualche mese fa ci permetteva di sbandierare una vittoria già in tasca, mentre Berlusconi ha saputo giocare la carta di un protagonismo politico (nel bene e nel male) senza precedenti, riuscendo a risvegliare in un'Italia forse sopita e sicuramente non rilevata dai sondaggi una partecipazione che nessuno si aspettava. E' anche vero che un certo radicalismo alla Don Camillo e Peppone permeava l'aria da un po', tanto che la formuletta del "partito delle tasse" in alcuni ha suscitato l'incongruo timore di fantomatiche espropriazioni comuniste in caso di vittoria del centrosinistra; mentre dall'altra parte io stessa mi sono ritrovata ad affermare che stavolta saremmo andati a votare contro l'Impero del male.

Devo riflettere meglio. Poi sentenzierò 🙂

Instant post

PARI??? Non ci voglio credere.

Lo yogurt bianco non è yogurt (e questo post non è un post)

Questo weekend ho fatto alcune scoperte, innescate dalla quasi casuale comparsa nel frigo di uno yogurt Activia al naturale, bianco, intero.

Mi sono costretta ad assaggiarlo e ho dovuto constatare con sconcerto e disappunto che tra lo yogurt alla frutta e quello bianco non c'è quasi alcuna somiglianza, e se una qualche lontana parentela esiste deve trattarsi di una remota relazione genetica come quella che lega l'homo sapiens al lemure del Madagascar. Si sappia che il mio parere non è quello di un'inesperta o una neofita. Io di yogurt me ne intendo, ne mangio talmente tanto che periodicamente mi sensibilizzo e divento intollerante a qualunque tipo di latticino, fino al punto che l'ingestione di un decilitro di Zymil (o Zimyl?) delattosato ad alta digeribilità scatena bruciori gastritici e ulcerosi già nell'esofago. Ho una predilezione per i Vitasnella alla ciliegia, alla fragola o ai frutti di bosco, ma posso mangiare yogurt qualunque marca purché ai frutti rossi (in realtà mangerei quasi qualunque cosa, animale vegetale o minerale, se contenesse frutti rossi).

Quindi, se dico che lo yogurt bianco NON E' YOGURT, lo dico con cognizione di causa. Lo yogurt bianco è un formaggio. Come il mascarpone. Solo che sa vagamente di Fruttolo o formaggino Mio, con la consistenza di malta da muratore e un retrogusto acido intenso di prodotto andato a male. Per non limitarmi ad un giudizio superficiale, mi sono imposta di mangiarlo tutto: ho spremuto il vasetto dentro una tazza di quelle con la faccia buffa e col naso (c'è n'è almeno una quasi in ogni casa, non so perché) e l'ho mescolato con una generosa razione di Kellogg's Special K coi frutti rossi. Ne è risultato un'amalgama densissimo (la qual cosa dimostra che , come la malta da muratore, lo yogurt bianco solidifica a contatto con l'aria) con uno spiccato sapore di cereali scaduti.

L'ho finito tutto: evidentemente la mia insana concupiscenza per i Kellogg's Special K supera gli angusti limiti delle qualità organolettiche. Probabilmente anche i cani di Pavlov hanno iniziato così.

Il Caimano /2

Dopo esserci sbranati sulla nostra irriducibile contrapposizione politica, io e lo Gnu ci siamo trovati d'accordo su una cosa: con la sua intelligenza, la sua lungimiranza politica, la sua determinazione e la sua capacità di sfruttare gli alti e i bassi dei suoi alleati per progredire nel suo disegno politico, il vero Caimano non è Berlusconi, è Fini.

(Non posso fare a meno di stimarlo. Lo temo, ma lo stimo.)

Il Caimano /1

Un po’ in ritardo, anch’io ho finalmente visto il film di Nanni Moretti, e non mi sento proprio di accodarmi alle recensioni entusiastiche che ho letto e sentito un po’ dappertutto. Veltroni scrive su Ciak che “Il Caimano è bel film, uno dei più belli del Moretti cresciuto e cambiato […]. Anche chi non lo ama […] farà fatica a negare che questo film riesce nella cosa più grande che un film possa fare: emozionare e far ragionare”. Mah, non l’avrò capito io, sarò diventata meno di sinistra e intellettuale non lo sarò mai stata, ma a me Il Caimano è sembrato un film riuscito solo a metà, efficace nell’interpretazione intensa e miracolosamente naturale di Silvio Orlando (condivido il giudizio di chi l’ha definito un patrimonio nazionale, sottovalutato e sottoimpiegato come tante altre ricchezze del Belpaese) e nella parte più centrata sul disfacimento esistenziale del suo personaggio, molto meno in quello che avrebbe dovuto essere il cuore politico della pellicola e che a me è sembrato piuttosto un pamphlet sbrigativo e un po’ posticcio.

I cliché dell’antiberlusconianesimo ci sono tutti, com’è giusto che sia (e vederli sciorinati così sullo schermo mi dà contemporaneamente una soddisfazione pruriginosa e un vago imbarazzo), ma da Moretti mi sarei aspettata un’analisi più arguta e pungente, che riuscisse a gettare una luce nuova o perlomeno più chiara sul fenomeno Berlusconi. L’origine equivoca della sua ricchezza, la megalomania del suo progetto imprenditoriale e l’imbarazzante culto della sua stessa personalità, l’irresponsabile e frivola incoscienza nel suo ruolo di premier: niente di nuovo sotto il sole, già visto, già detto, sappiamo tutti che è uno scandalo ma ormai ci scherza sopra pure Striscia la Notizia. A simboleggiare l’immagine desolante che questa “Italietta berlusconiana” proietta all’estero c’è un amico produttore polacco che irride e deride con accento teutonico, una soluzione semplicistica e banale sa di pressapochismo. Anche il finale (spiazzante, forse, ma non tanto quanto si è detto e scritto), monito profetico ed escatologico all’Italia plagiata e lobotomizzata dalla persuasione catodica, ha più il sapore di una personale rivincita contro l’onnipresenza dittatoriale di Berlusconi e la sua vergognosa manipolazione dell’informazione che il respiro visionario del grande cinema (checché ne dica la Detassis).

Fortunatamente poi c’è il resto del film. Lo scorcio di vita dell’ “uomo piccolo” Bruno Bonomi, fallimentare tanto come produttore cinematografico quanto come marito, è tenero, coinvolgente, e tratteggiato con una delicatezza amara e partecipe;  a tratti si sorride, con quell'umorismo nevrotico e surreale che è tipico di Nanni Moretti. Gli interpreti sono tutti ottimi, su tutti l’eccezionale Silvio Orlando di cui ho già detto e un Michele Placido perfetto e stralunato in un ruolo atipico. La regia, al netto delle note lungaggini morettiane (che io amo e odio contemporaneamente), si muove con secchezza e agilità fra i diversi piani del film; i segmenti sul Caimano sono inseriti in un gioco di cornici concentriche, con un'articolazione secca ed efficace che amplifica per contrasto l’assurdità straniante degli spezzoni tratti dai filmati ufficiali sul premier. Insomma, il film c'è, ed è ben strutturato e congegnato, quello che manca è la vis polemica che tutti ci aspettavamo (almeno, io me la aspettavo) e che si riduce in fin dei conti ad una superflua ripetizione dei più tradizionali topoi antiberlusconiani. Se questo è il famoso film su Berlusconi che avrebbe dovuto causare una migrazione di voti verso la sinistra, non se ne sentiva il bisogno; se è un'altra cosa, cioè un film di Moretti su Moretti che racconta ciò a cui pensa Moretti in questo momento (e cioè sì a Berlusconi, ma anche al cinema e alle difficoltà nel farlo, alle coppie che si sfaldano con nostalgia, all'entusiasmo incosciente dei giovani che si impuntano contro i mulini a vento), allora la sostanza c'è, ma il risultato si apprezza solo a metà.

Qui sì che concordo con la Detassis: "Il suo cinema [di Moretti] è un'altra cosa, un evento non perché tutti ne parlano e perché la sua strategica ritrosia ne fa parlare ancora di più, ma perché è diverso da ciò che conosciamo, lontano dalla narrazione aggraziata e fluida, tutt'uno da sempre con il suo corpo nervoso, con il pensiero ispido, narcisista."  In una parola, autoreferenziale.

Un'ultima nota. A freddo, passata la fase iniziale del "negare sempre, anche di fronte all'evidenza", devo ammettere che forse non sarebbe stato il caso di far uscire questo film durante la campagna elettorale. Indubbiamente è stata un'ottima strategia commerciale, che ha massimizzato l'interesse dei media e il conseguente rimbalzo pubblicitario, ma eticamente la trovo una mossa scorretta. Va anche detto che forse, al di fuori dello spirito preelettorale, Il Caimano non avrebbe avuto tutta questa ragione d'essere, per lo meno nel suo aspetto politico.

Nel frattempo Berlusconi, sotto il suo tricorno da Napoleone, probabilmente sta sghignazzando della nostra ingenuità di pasionari sinistrorsi, consapevole di avere di nuovo vinto, se non le elezioni (ancora non si sa, e Dio non voglia), perlomeno l'ennesima battaglia di immagine: è di nuovo al centro dei pensieri di tutti, anche di  Moretti, di chi va vedere i film di Moretti e di chi li critica prima o dopo averli visti.

Ma questo Berlusconi, sarà proprio così imprescindibile? Sarà poi questo il famoso messaggio politico del film? Ci ha plasmati così tanto con la tv, con la politica, col suo faccione lucido e ghignante da gatto del Cheshire, da non poter fare a meno di lui? Vinca o perda, sarà comunque dappertutto? Anche dentro Nanni Moretti??!!

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