Lungi da me l'intenzione di trasformare questo blog in qualcosa di politico. D'altra parte è appena nato, e non ha ancora una sua personalità ben definita: non ce l'ho io, figuriamoci il blog. Però tutta questa stranissima vicenda elettorale mi ha coinvolta e colpita, e ha messo in moto quei due o tre neuroni adibiti al pensiero analitico che in genere stanno pigramente assopiti in un angolo del mio cervello.
Sul sito del Corriere – che ultimamente frequento spesso perché a casa i mia i quotidiani arrivano la sera assieme a mio papà, e quindi io in genere mi ritrovo a leggerli la mattina dopo mentre faccio colazione, quando sono già vecchi di un giorno – sul sito del Corriere, dicevo, ho letto questa cosa interessante:
"Berlusconi torna in vantaggio grazie al suo fiuto nel captare il populismo contemporaneo. Che non è diffuso solo in Italia: è vivo in America, dove George W. Bush è il presidente più populista delle ultime generazioni, serpeggia in Francia e in Germania. L'identità dei Paesi ricchi è minacciata dalla nuova economia, l'opinione pubblica è disorientata dall'emigrazione, dalla globalizzazione, da campagne elettorali via via più ciniche, dominate dalle lobby. L'opinione pubblica si aliena dal dibattito politico e Silvio Berlusconi si dimostra, dal suo debutto in campagna elettorale nel 1994, maestro nel presentarsi come "al di sopra della politica", erede di una storia "diversa". Ha puntato l'intera posta su questa virtù, con apparente successo. Naturalmente il non essere mai vero leader politico, giocando sempre a fare l'outsider, si rivela anche il suo tallone d'Achille una volta eletto, perché non ha la pazienza, e la capacità di unire, degli statisti. Una carriera da candidato perfetto e da mediocre primo ministro."
Sono parole del politologo americano Charles Kupchan, citato da Gianni Riotta: un'ottima sintesi della stupefacente parabola di Berlusconi, al quale si deve riconoscere un grande fiuto nel percepire lo stato dell'opinione pubblica e una notevole capacità di sfruttarlo a proprio vantaggio. Ma l'incredibile esito di queste elezioni (perché tutti sapevamo che sarebbe stato un testa a a testa, ma chi avrebbe immaginato fino a questo punto?), con la sensazionale rimonta che loro malgrado anche i detrattori hanno dovuto ammirare, a mio parere ha reso innegabile la realtà che il linguaggio politico e mediatico di Berlusconi, populista, demagogico e approssimativo com'è, funziona. Il centrosinistra non ha potuto competere proprio perché non ha fatto suoi i tempi e i modi di questa politica postmoderna che Berlusconi in Italia ha inventato e impersonato. L'uso spregiudicato e massiccio dei media, per quanto criticabile, lo ha fatto arrivare in casa di tutti, in ogni edizione del telegiornale, su tutti i quotidiani e sui tabloid; e mentre cercavamo (cercavo) di autoconvincerci (-mi) che Prodi, è vero, ha meno presenza scenica, ma più competenza tecnica, lui troneggiava al centro dei discorsi di tutti, dal parlamento al bar sport. A quanto pare, la nuova politica esige questo: protagonismo e semplificazione; mostrarsi molto, ovunque, e dire cose semplici, che la gente capisca senza dover attivare tutta la corteccia cerebrale e soprattutto che voglia sentirsi dire.
La semplificazione non mi piace. La temo molto, perché al riscontro dei fatti difficilmente le cose sono semplici, e a maggior ragione la politica non lo è; e allora semplificare programmaticamente il discorso politico significa creare una discrepanza fra il paese descritto e il paese reale, con i risultati che gli ultimi cinque anni governo mostrano chiaramente. Il contrasto fra l'impoverimento dichiarato e quello percepito; fra l'Italia che nei discorsi del premier si è guadagnata il rispetto del mondo, e nei fatti è invece oggetto di ridicolo; fra l'ideale del lavoro flessibile delle mille possibilità e la realtà di quello precario dell'insicurezza cronica: questo mi fa paura, soprattutto perché mi sembra che molta gente preferisca tuttora credere a quello che vede in tv piuttosto che a quello che le accade intorno.
Ma da un certo punto di vista il populismo berlusconiano ha cambiato le regole del gioco politico, e di questo dovrebbe prendere coscienza anche il centrosinistra; è forse necessario rinnovarsi, imparare ad arrivare alla gente, colmare quel divario che fa apparire una certa sinistra come il regno della "politica di professione" nel senso più deteriore che si può dare a quest'espressione (un senso molto da prima repubblica) in contrapposizione alla politica ruspante e sanguigna di Berlusconi (ma anche della Lega). Forse bisogna imparare a venderla, questa politica di professione, renderla meno impopolare, spiegarsi e spiegare alla gente da capo, per filo e per segno, che il ruolo dell'uomo politico è rappresentare il cittadino, non essere il cittadino, e prendere decisioni complesse grazie ad una competenza che il cittadino medio non ha.
Temo di essere stata confusa e ingarbugliata, nel pensiero e nei discorsi. Ma d'altra parte la politica non è mai stata il mio forte, manco di linearità. Diciamo che anche questo è stato uno sfogo.