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Il Caimano /1

Un po’ in ritardo, anch’io ho finalmente visto il film di Nanni Moretti, e non mi sento proprio di accodarmi alle recensioni entusiastiche che ho letto e sentito un po’ dappertutto. Veltroni scrive su Ciak che “Il Caimano è bel film, uno dei più belli del Moretti cresciuto e cambiato […]. Anche chi non lo ama […] farà fatica a negare che questo film riesce nella cosa più grande che un film possa fare: emozionare e far ragionare”. Mah, non l’avrò capito io, sarò diventata meno di sinistra e intellettuale non lo sarò mai stata, ma a me Il Caimano è sembrato un film riuscito solo a metà, efficace nell’interpretazione intensa e miracolosamente naturale di Silvio Orlando (condivido il giudizio di chi l’ha definito un patrimonio nazionale, sottovalutato e sottoimpiegato come tante altre ricchezze del Belpaese) e nella parte più centrata sul disfacimento esistenziale del suo personaggio, molto meno in quello che avrebbe dovuto essere il cuore politico della pellicola e che a me è sembrato piuttosto un pamphlet sbrigativo e un po’ posticcio.

I cliché dell’antiberlusconianesimo ci sono tutti, com’è giusto che sia (e vederli sciorinati così sullo schermo mi dà contemporaneamente una soddisfazione pruriginosa e un vago imbarazzo), ma da Moretti mi sarei aspettata un’analisi più arguta e pungente, che riuscisse a gettare una luce nuova o perlomeno più chiara sul fenomeno Berlusconi. L’origine equivoca della sua ricchezza, la megalomania del suo progetto imprenditoriale e l’imbarazzante culto della sua stessa personalità, l’irresponsabile e frivola incoscienza nel suo ruolo di premier: niente di nuovo sotto il sole, già visto, già detto, sappiamo tutti che è uno scandalo ma ormai ci scherza sopra pure Striscia la Notizia. A simboleggiare l’immagine desolante che questa “Italietta berlusconiana” proietta all’estero c’è un amico produttore polacco che irride e deride con accento teutonico, una soluzione semplicistica e banale sa di pressapochismo. Anche il finale (spiazzante, forse, ma non tanto quanto si è detto e scritto), monito profetico ed escatologico all’Italia plagiata e lobotomizzata dalla persuasione catodica, ha più il sapore di una personale rivincita contro l’onnipresenza dittatoriale di Berlusconi e la sua vergognosa manipolazione dell’informazione che il respiro visionario del grande cinema (checché ne dica la Detassis).

Fortunatamente poi c’è il resto del film. Lo scorcio di vita dell’ “uomo piccolo” Bruno Bonomi, fallimentare tanto come produttore cinematografico quanto come marito, è tenero, coinvolgente, e tratteggiato con una delicatezza amara e partecipe;  a tratti si sorride, con quell'umorismo nevrotico e surreale che è tipico di Nanni Moretti. Gli interpreti sono tutti ottimi, su tutti l’eccezionale Silvio Orlando di cui ho già detto e un Michele Placido perfetto e stralunato in un ruolo atipico. La regia, al netto delle note lungaggini morettiane (che io amo e odio contemporaneamente), si muove con secchezza e agilità fra i diversi piani del film; i segmenti sul Caimano sono inseriti in un gioco di cornici concentriche, con un'articolazione secca ed efficace che amplifica per contrasto l’assurdità straniante degli spezzoni tratti dai filmati ufficiali sul premier. Insomma, il film c'è, ed è ben strutturato e congegnato, quello che manca è la vis polemica che tutti ci aspettavamo (almeno, io me la aspettavo) e che si riduce in fin dei conti ad una superflua ripetizione dei più tradizionali topoi antiberlusconiani. Se questo è il famoso film su Berlusconi che avrebbe dovuto causare una migrazione di voti verso la sinistra, non se ne sentiva il bisogno; se è un'altra cosa, cioè un film di Moretti su Moretti che racconta ciò a cui pensa Moretti in questo momento (e cioè sì a Berlusconi, ma anche al cinema e alle difficoltà nel farlo, alle coppie che si sfaldano con nostalgia, all'entusiasmo incosciente dei giovani che si impuntano contro i mulini a vento), allora la sostanza c'è, ma il risultato si apprezza solo a metà.

Qui sì che concordo con la Detassis: "Il suo cinema [di Moretti] è un'altra cosa, un evento non perché tutti ne parlano e perché la sua strategica ritrosia ne fa parlare ancora di più, ma perché è diverso da ciò che conosciamo, lontano dalla narrazione aggraziata e fluida, tutt'uno da sempre con il suo corpo nervoso, con il pensiero ispido, narcisista."  In una parola, autoreferenziale.

Un'ultima nota. A freddo, passata la fase iniziale del "negare sempre, anche di fronte all'evidenza", devo ammettere che forse non sarebbe stato il caso di far uscire questo film durante la campagna elettorale. Indubbiamente è stata un'ottima strategia commerciale, che ha massimizzato l'interesse dei media e il conseguente rimbalzo pubblicitario, ma eticamente la trovo una mossa scorretta. Va anche detto che forse, al di fuori dello spirito preelettorale, Il Caimano non avrebbe avuto tutta questa ragione d'essere, per lo meno nel suo aspetto politico.

Nel frattempo Berlusconi, sotto il suo tricorno da Napoleone, probabilmente sta sghignazzando della nostra ingenuità di pasionari sinistrorsi, consapevole di avere di nuovo vinto, se non le elezioni (ancora non si sa, e Dio non voglia), perlomeno l'ennesima battaglia di immagine: è di nuovo al centro dei pensieri di tutti, anche di  Moretti, di chi va vedere i film di Moretti e di chi li critica prima o dopo averli visti.

Ma questo Berlusconi, sarà proprio così imprescindibile? Sarà poi questo il famoso messaggio politico del film? Ci ha plasmati così tanto con la tv, con la politica, col suo faccione lucido e ghignante da gatto del Cheshire, da non poter fare a meno di lui? Vinca o perda, sarà comunque dappertutto? Anche dentro Nanni Moretti??!!