Look who’s writing

Ho cambiato taglio di capelli al blog 🙂

Preludio ad altri cambiamenti, più sostanziali si spera

De arte bloggandi

Ok, tanto per rassicurare (non so esattamente chi, ma tant’è): sono viva e vegeta e non ho perso l’uso della parola (scritta). Solo sono discontinua, come sempre; e ora sono in fase… afasica.Scrivere per forza non è bello. Non ne può venir fuori niente di buono. Ecco infatti

10 buoni motivi per cui non dovrei scrivere su questo blog 

  1. Questo blog sta diventando un metablog: un blog sul quale scrivo dello scrivere in un blog. Ciò significa che sto grattando il fondo del barile. Mi ripeto: non ne può venir fuori niente di buono.
  2. Ho delle cose da fare che sto trascurando. Se accendo il computer è finita, mi perdo per un’ora; quindi meglio saltare il problema a piè pari e lasciare il pc spento.
  3. Devo cambiare gli occhiali. Ora, se sto davanti al pc con le lenti a contatto queste dopo un po’ diventano lattiginose e di una consistenza simile a quella della marmellata [non so perché, prima non mi succedeva; dev’essere una sorta di complessa vendetta cosmica che ogni tot anni mi dà dei problemi con le lenti a contatto e mi costringe a passare a modelli più sofisticati. Da qundo la cornea mi si è sensibilizzata a macchia di leopardo costringendomi ad andare in giro con due occhi da eroinomane (gli occhiali mai, piuttosto la morte o la cecità) ho adottato le biocompatibili; ora non so, ne farò un paio bioniche]. Quindi almeno quando uso il computer indosso gli occhiali. Però li odio, li maltratto e il più delle volte mi addormento tenendoli ancora sul naso, fatto documentato da più e più foto con le quali la mia dolce (dolce sti *****, mon amour) metà mi ricatta regolarmente; in più mi ci sono pure seduta sopra più di una volta. Di conseguenza, le lenti sono rigate in maniera ormai pressoché uniforme; e più che vedere intuisco la presenza di immagini al di là del mio naso. E’ l’ora di rifarli, ma è un passo che non posso prendere tanto alla leggera perché come minimo sarò costretta ad accendere un mutuo o rivolgermi ad uno strozzino: come per quelle a contatto, le lenti normali non vanno bene, ci vogliono di un materiale particolare infrangibile e supersottile per evitare l’effetto fondo di bottiglia (sì, sono molto miope). Ovviamente costano un occhio della testa, perdono l’antiriflesso dopo circa cinque minuti e vanno necessariamente accompagnate da una montatura figa possibilmente di qualche stilista poco noto ma di ottime speranze. Rinunciare al computer è decisamente più pratico ed economico.
  4. Sono logorroica. Per esprimere un concetto semplice (come “devo rifare gli occhiali”) impiego un paragrafo lungo e involuto con mille subordinate incastrate una dentro l’altra, e due ordini di parentesi (tonde e quadre). Permettermi di tenere un blog è come mettermi in mano una molotov.
  5. La mia gatta vive sulla tastiera del pc. Per scrivere dovrei spostarla, e ciò la infastidisce. E’ anche un’operazione difficile, perché come tutti i gatti tende ad abbandonarsi a peso morto raggiungendo il peso specifico della della criptonite; e alla fine i tasti rimangono felpati, con tutto il pelo in mezzo (e non si riesce più a premerli bene). Forse dovrei comprarle una tastiera sua, non so.
  6. Se scrivo, sto seduta a lungo. Se sto seduta a lungo, mangio. Se mangio, ingrasso, e in più, siccome sto cercando di rinunciare quasi definitivamente ai dolci* (lo so, lo so, ma dal momento in cui è finito il mio fioretto mi sono strafogata in maniera indecente, e mi disgusto da sola; poi devo ammettere che quando non ne mangiavo mi sentivo molto meglio, e soprattutto sono tornata quarantotto chili senza sforzo) mi strafogo di yogurt, frutta e cereali col risultato che il mio apparto gastrointestinale diventa ipercinetico. E in generale, ciò non è un bene. *[Nuova collezione Domori esclusa. Per quella farò una (alcune) (molte) eccezioni.]
  7. Sono stanca, svogliata, apatica. Tenere un blog non dovrebbe essere un dovere; dovrebbe soddisfare un’esigenza di condivisione, di comunicazione. Io al momento non ce l’ho. Ho abbastanza voglia di farmi i fatti miei.
  8. Un blog veicola un’immagine dell’autore. Che immagine di me voglio dare? Che immagine di me sto dando? Non lo so, in nessuno dei due casi. E soprattutto, voglio che il mondo (beh, in concreto una parte infinitesimale del mondo, ovviamente; ma potenzialmente tutto il mondo) sappia delle cose su di me? Non ne sono certa. E soprattutto, temo di non risultare nemmeno lontanamente figa quanto vorrei. Su questo dovrei meditare.
  9. Forse un blog dovrebbe avere un concetto forte alla base, una linea editoriale, se vogliamo. Quella del metablog potrebbe anche essere un’idea. Non particolarmente fertile, probabilmente, ma se qualcuno è riuscito a fare un blog su Snakes on a plane… In ogni caso, per il momento questo blog è poco più che un’accozzaglia di ripetizioni e congiuntivi mancati.
  10. A questo punto non posso più negarlo: soffro di cervicale. Ho delle vertigini improvvise che neanche sull’ottovolante. Devo smettere di addormentarmi dappertutto, in treno, al cinema, sul divano: soprattutto devo smettere di addormentarmi seduta, o dovrò assumere un chiropratico. Scrivere sulla tastiera del computer è una tortura, dopo un quarto d’ora perdo la sensibilità alle mani e comincia un dolore sordo dalla spalla destra al gomito. Sto inesorabilmente invecchiando. Tunnel carpale, arrivo.

embé?

sì, adesso posto ogni cinque minuti. a cazzo. senza neanche le maiuscole. d’altra parte è il mio blog e ci faccio quello che mi pare.sono tre pomeriggi che decifro gambette di cediglia e cinque minuti ( :)) di spina staccata mi servono. per di più il blog adesso ha quest’aria un po’ di scazzo abbandonato a se stesso e non mi devo fare scrupoli a infrangere chissà quale architettura strutturale o simmetria interna.le novità: ho prenotato tre notti in una residenza universitaria (carina, fra l’altro, credo) per il convegno di padova. tre-quattro giorni prima ne ho uno alla rocca e tre-quattro giorni dopo quello più importante, a siena. bisogna che che faccia due conti sulle notti da passare fuori e prenoti anche il college. college. a scriverlo fa proprio figo.la mia vicina (colombiana) mi darà lezioni di spagnolo. le ho chiesto quanto mi rende, lei continua a dire “ora non ci pensare”. sono un po’ preoccupata. di solito quando ti dicono così finisci per trovarti alla porta un tizio nerboruto fermamente intenzionato a spaccarti le rotule.

[a proposito, l’ho mai raccontata quella delle rotule? quando ero piccola, ma piccola sul serio, tipo tre o quattro anni, pareva che avessi le ginocchia valghe. i miei genitori avevano consultato un paio di specialisti, e pareva inevitabile intervenire per correggere il difetto. fortunatamente mia mamma si è intestardita e ha rifiutato la terapia, che poi sarebbe dovuta consistere nello spaccarmi entrambe le rotule (io ho sempre immaginato a martellate, ma non so se la cosa dovesse svolgersi esattamente così) per poi ingessarmele dritte. questa era la medicina nei primi anni ottanta. ci tengo a precisare che oggi non avrò due metri di gambe, ma ho ginocchia normali.]

altre novità: c’è stato un incidente dallo gnu. un cane ha mangiato un gatto. neanche il cane ha fatto una bella fine temo (non ho voluto approfondire), ma sta sulle sue zampe, cosa che non si può più dire del gatto. fortunatamente non era la mia micia, ma era comunque un micino rosso cucciolissimo sul quale la fortuna si è accanita davvero con caparbietà, considerato che era stato già separato dal suo gemello, quest’ultimo prelevato dalla veterinaria locale e trasferito (lui sì, fortunato) a casa di non so che ragazzo a caccia di gatti rossi. quando vengo a sapere di qualche disgrazia capitata ad un animale mi deprimo in modo terribile. brutto a dirsi, le persone non mi fanno lo stesso effetto.

postilla: il mio fidanzato è diventato una calamita per bloggatare. improvvisamente ragazze flirtose e ammiccanti affollano il suo blog, lisciandolo con coccole e complimenti. sono contenta (:| ) della sua popolarità, spero solo di non capitare un giorno o l’altro a casa sua e trovare una sconosciuta con addosso il mio pigiama (lo dico con cognizione di causa: io ogni tanto dormo con la maglietta che una sua ex ha abbandonato in un armadio e non ha più recuperato. avvicendamento veloce, pare 🙂 ).

contatori: – 26 ore e mezza ai dolci (ieri in negozio ho passato minuziosamente in rassegna gli scaffali per scegliere con quale dolce porre fine al mio digiuno selettivo. ho quasi deciso a favore dei biscotti walkers, shortbread scozzesi con il 25 % di burro) e – 15 giorni alle dimissioni. poi dovrò affrontare la noiosa questione sopravvivenza da un’altra angolazione. stavo pensando alle fiere: salone nautico, salone del pesto (sic, pare che esista davvero) e simili. spero solo di non essere troppo bassa… se non mi prendono vorrà dire che sono poco aggiornati, ora anche sulle passerelle vanno di moda le asiatiche, piccole, minute e con l’aria da bambine. d’altronde le stangone scandinave hanno fatto il loro corso, e poi diciamolo: a quindici anni sono già sfatte. tié.

Lamentele sparse

Dovrei riprendere a fare un po’ di cyclette per non iniziare a squagliarmi come una mozzarella di bufala, anche se non ho l’entusiasmo; ma non importa.

E’ necessario che riprenda il programma di un paio di esami universitari per rinsaldare le mie basi, però non trovo la concentrazione; ma non importa.

Ho aperto un account su Flickr, ma non posso più usare il videofonino perché ho cambiato gestore telefonico e quindi non so più con cosa fare le foto. Così il mio account è vuoto; ma non importa.

Ho comprato un paio di jeans su e-bay, ma non arrivano; oggi ho aggredito due postini certa che fossero lì per me, ma mi sbagliavo. Ma non importa.

I miei genitori hanno raccolto cinque chili di funghi, quindi mangerò funghi (fritti, al forno, al funghetto, nel sugo) fino ad esaurimento scorte e mi verrà la cirrosi epatica; ma non importa.

Niente di tutto questo importa. Posso superare tutto.

PERO’ NON CE LA POSSO FARE A STARE ALTRE 48 ORE SENZA DOLCI!

Morirò! 

Per non sembrare egocentrica…

…mi ero ripromessa di non riportare i risultati del mio Personality Disorder Test. E invece sono troppo narcisa per non farlo 🙂

Personality Disorder Test Results

Paranoid |||||| 30%
Schizoid |||||||||||||||| 70%
Schizotypal |||||||||||||| 58%
Antisocial |||||||||||||| 54%
Borderline |||||||||||||| 54%
Histrionic |||||||||||||||||| 74%
Narcissistic |||||||||||||||| 70%
Avoidant |||||||||||| 50%
Dependent |||||||||||| 46%
Obsessive-Compulsive |||||||||| 34%

Take Free Personality Disorder Test
personality tests by similarminds.com

Un matrimonio e nessun funerale

I blog hanno questa graziosa caratteristica di trasformare una persona abitualmente dotata di un minimo di inventiva e forse addirittura di una certa verve linguistica in un individuo dislessico e graficamente balbuziente. Funziona più o meno così: fai un giro su internet, vedi che un sacco di gente ha un blog, decidi che se ne avessi uno tu lo faresti molto meglio. Scriveresti cose più interessanti, saresti arguto e incisivo e la gente ti amerebbe. Hai anche già in mente un titolo, qualcosa di molto moderno e metropolitano tipo “Crosstown traffic”, con una strizzata d’occhio al lettore agé e al musicista mancato . Hai mille idee, per una decina di post, tre racconti, due saggi, una sceneggiatura cinematografica e la bozza per uno spot pubblicitario. Fosse per te scriveresti anche sui tovaglioli di carta o sullla carta igienica.E allora fai il blog. All’inizio sei un po’ timido, non vuoi strafare. Cominci un po’ in punta di piedi, titubante, poi ti fai prendere la mano e scrivi due, tre post al giorno. Passa qualche lettore occasionale, qualcuno commenta, alcuni tornano più volte. Tu gonfi le piume, scrivi anche di qaunte volte sei andato in bagno. Poi, di colpo, più niente. Perché è scattata la sindrome del piedistallo: hai paura di deludere i tuoi lettori.

E’ una malattia infida. L’ho sempre avuta, che io ricordi: quand’ero ragazzina se un ragazzo mi faceva un complimento lo mandavo a cagare, avevo paura che parlando con me per più di tre secondi si sarebbe accorto che avevo i capelli crespi, che la mia conversazione era noiosa e che mi mangiavo le parole. Tanto valeva troncare tutto sul nascere, per non alimentare false speranze dalle due parti. Se mi capitava di conoscere delle persone nuove mi eclissavo il più possibile, in maniera direttamente proporzionale all’interesse che provavo per loro, perché temevo che approfondendo la mia conoscenza sarebbero rimaste inevitabilmente deluse. Anche a scuola, dove sul piedistallo sono sempre stata davvero, vivevo nel terrore di non essere all’altezza della mia fama.

E’ possibile che la sindrome del piedistallo spieghi con buona approssimazione l’evoluzione del blog-tipo, che dopo un certo numero di post si trasforma in un diario. L’ispirazione si inaridisce, la vena artistica svela i suoi limiti, il senso di inadeguatezza prende campo. Delle due l’una: o si molla tutto, o si scrive di tanto in tanto, regolarmente, per non sembrare proprio rinunciatari (a se stessi, prima che agli altri); di qui il diario.

Finita questa lunga premessa, mi accingo a raccontare brevemente gli avvenimenti dell’ultimo weekend.

Ho dormito molto, moltissimo. Direi una media di dodici ore per notte. Non so perché, non ero neppure stanca. Bé, forse per la notte fra sabato e domenica può aver contribuito una discreta bevuta, completamente al di fuori delle mie abitudini. Comunque, alla faccia dell’alcool, mai avuta una pelle così distesa.

La mezza ciucca che mi ha regalato sonni così pacifici deriva dal matrimonio al quale sono stata invitata sabato. Lo sapevo da tempo, e la questione vestito mi ha tormentata per un po’. Io non amo i vestitini tutti balze, fiori e colori pastello che si usa indossare in queste circostanze; ho quindi scelto un tailleur pantalone bianco panna, con sottili profili in raso, color perla. Con camicia in raso, color perla, e accessori marroni, compresi sandali e scarpe di pitone e una lunga collana d’ambra, vintage. Nell’insieme, sembravo spuntata da una puntata di Miami Vice, tanto che lo Gnu mi ha chiesto se, giacché io ero vestita come Sonny Crockett, lui doveva fare Rico.

Sono stata bene, comunque. Il ricevimento era sontuosissimo, nel parco di una splendida villa patrizia, e fra uno spumantino frizzante d’aperitivo, qualche bicchiere di bianco frizzante che durante il pranzo scivolava giù a meraviglia e un paio di brindisi col delizioso brachetto servito coi dessert, alle sei di sera attaccavo discorsi con gli sconosciuti. Non sono abituata a bere, e l’alcool mi rende eccessivamente socievole. Fra una portata e l’altra giravo per i tavoli a salutare e scambiare due parole con tutti, tanto che qualcuno mi ha chiesto (acidamente) se ero io la sposa.

Alle nove e mezza io e lo Gnu dormivamo come neonati davanti alla tv, a casa. Alle undici e mezza un certo rimorso di coscienza ci ricordava che i giovani usano uscire, il sabato sera, e lo Gnu accendeva la luce per costringerci al risveglio. Alle tre e mezza mi svegliavo di soprassalto, vestita, truccata, e con la luce accesa. Per la seconda sera di fila. Quindi in definitiva non è neppure colpa dell’alcool, forse starò diventando narcolettica.

I weekend sono brevi, quando li trascorri dormendo per il cinquanta per cento del tempo. Domani ricomincia la routine del lavoro, e direi che posso cominciare a contare i giorni da qui alla disoccupazione: meno di venti, una dozzina lavorativi. Tira un’aria da ultimi giorni di di scuola e sto già salutando tutti i clienti. Un po’ per educazione, un po’ perché qualcuno mi mancherà davvero, un po’ perché spero che la mia cliente miliardaria si ricordi della buonuscita che mi aveva mezzo promessa. Mi aspettano tempi di vacche magre, non c’è da andare troppo per il sottile: per il  momento quello che arriva, prendo. E dopo, la bohème, temo.

10 days, 2 weeks

Sono tornata. Dopo dieci giorni via in due posti diversi, entrambi posti che in qualche modo considero casa, ora mi sento a disagio nella mia casa ufficiale. E’ un fenomeno che conosco bene e che mi sembra in qualche modo analogo alla nausée di Sartre; si tratta di una specie di spersonalizzazione, di oggettivazione brutale per la quale di colpo vedi le cose e le persone che ti sono familiari spogliate dal filtro emotivo che generalmente le accompagna, come fossero nude. E’ una sensazione scomoda e spiacevole, ma ha di positivo che passa presto, e molto probabilmente domani a mezzogiorno sarò veramente a casa. A parte questo, le cose vanno piuttosto bene, e ho ancora addosso quel fervore settembrino che mi fa venire voglia di rifare il guardaroba e cambiare colore di capelli. Non ho tanta voglia di scrivere, quindi riporterò solo qualche fatto saliente in modo schematico, giusto per non lasciare buchi spazio-temporali.

– Ho dato un’occhiata alle statistiche del blog. L’attività langue, zero commenti, e poche visite. Però per qualche ragione il diciotto agosto un mucchio di gente è passata di qui. Io non c’ero. Mi sarò persa qualcosa, che so, un party?

– Ho un nuovo gatto, in comproprietà con lo Gnu. E’ una micia rossa (fatto quantomai raro, mi dicono)e con gli occhi marroni, di due mesi e mezzo o forse tre, che ha adottato me e i miei genitori appena abbiamo aperto casa in Emilia. Non potendo portarla a Genova perché i miei due gatti morirebbero di sdegno e gelosia, e perché già così la casa è un buco caotico, io e lo Gnu l’abbiamo portata da lui, dove si aggiungerà alla comunità di gatti che già circonda la sua cascina, ma in un ruolo privilegiato, un po’ da reginetta. Almeno, io vorrei così, ma credo che lo Gnu preferisca un trattamento più democratico. Penso che opteremo per una soluzione di compromesso, cioè io la vizierò in maniera vergognosa e lui in mia presenza fingerà di metterla in riga; poi, quando io sarò via, la vizierà vergognosamente anche lui. L’abbiamo chiamata Gatto-mè, come la micia nera che ci è morta di leucemia felina qualche mese fa, buonanima.

– Dopo dieci giorni in compagnia di gatti normali, di cui uno cucciolo, ho di colpo realizzato che i miei mici di Genova sono giganteschi. Non solo il maschio, quello di 14 kg, ma anche la femmina: è qui che dorme sul tavolo accanto al computer e mi fa un po’ impressione. Ha una testa enorme, è pelosissima, sembra un piccolo grizzly: e dire che prima di partire mi sembrava piccola e gracile.

– I giorni in Emilia sono stati piacevoli, anche se pioveva, c’erano tredici gradi e il costume è rimasto in valigia assieme a canottiere e sandali. Ma è stata dura mettere le mani nei cassetti di mia nonna, svuotare e sgomberare, appropriarsi di casa sua. Quando sono ripartita lasciando lì i miei genitori ho avuto la sensazione dolorosa dell’avvicendamento delle generazioni, del tempo che si arrotola a spirale in cicli sempre uguali; ma in qualche modo lì, nel paesino della mia famiglia, tutto mi sembra pacifico e naturale, come se le cose seguissero il loro corso senza sussulti né drammi, e gli eventi si dispiegassero placidamente in curve ampie e morbide. Guardando le foto nel piccolo cimitero di campagna, l’unico nel quale riesca a mettere piede senza che l’ansia mi salga sulle spalle, avevo a volte l’impressione di essere in una foto anch’io, e mi immaginavo immobilizzata per sempre in un broncio o in un sorriso che qualcuno stesse sbirciando da un’altra piega del tempo. E svuotando cassetti pieni di legacci o di saponette o di stracci per la polvere mi è capitato di pensare a quello che troverà, di me, chi ripulirà i miei armadi. Penso alle quattro cianfrusaglie che tengo lì per affetto, i salvadanai vuoti e le sorprese dell’uovo di Pasqua,  le boccette con poche gocce rimaste di profumo, le sveglie che non funzionano più. Mi chiedo se qualcuno le guarderà con la stessa tristezza e il compatimento, la tenerezza per le buone cose di pessimo gusto, che provo io riponendo i mille santini e le foto di chi non c’è più nel primo cassetto della credenza di mia nonna.

Mi rendo conto di non aver scritto niente di saliente, nessun fatto, quasi. Si vede che doveva andare così, d’altra parte le vacanze servono a questo, ad allungare i giorni, a renderli più spaziosi per guardarci bene dentro, e, una volta tornati a casa, rendersi conto che a volte succedono più cose quando non succede niente. Sono stata un po’ isterica nei giorni passati, ma ora mi sento più tranquilla, più risolta. A mettere in ordine i pensieri ho di nuovo la rassicurante sensazione che le cose vadano abbastanza per il verso giusto, anche mettendo le cose brutte e tristi nel bilancio. Ho un po’ di preoccupazione per quello che troverò dietro la prossima curva, ma per ora, questo senso caldo e confortante di fiducia, non me lo può proprio togliere nessuno.

Impressioni di settembre

Lo so che ufficialmente è ancora agosto. Ma stamattina non si sarebbe proprio detto, con quell’aria fresca e l’odore della pioggia notturna che alle nove cominciava appena ad evaporare. Il sole scaldava la strada e i miei vestiti, e io camminavo socchiudendo gli occhi come i gatti.

Ho sempre questa sensazione che il vero inizio dell’anno sia a settembre. Capodanno mi innervosisce e mi rattrista, e mi fa pensare a cene pesanti e mal digerite, sale troppo calde pesanti di fumo e stelle filanti, abiti scomodi e sorrisi tirati, e fuori il freddo assassino che infiltra gli abiti troppo scollati. Invece settembre è tutto un fermento, un ronzio di idee e nuovi progetti, come una seconda primavera: mi fa pensare ai quaderni di scuola appena comprati, ancora tutti bianchi e con le pagine ordinate, all’astuccio pieno di matite ben temperate, ai libri nuovi con la copertina lucida e che quasi si aprono a fatica. Probabilmente per il resto del mondo quegli ultimi giorni di vacanza, con tutto quanto pronto per essere usato ma ancora lucido e perfetto nel suo cellophan, non sono un ricordo tenero e felice come lo sono per me. Avrà a che fare col fatto che io a scuola ci sono sempre andata volentieri, o forse con il mio feticismo per gli articoli di cancelleria. O magari c’entra il fatto che sono un’allodola, che mi piace svegliarmi presto e magari vedere l’alba, che mi piacciono gli inizi più delle conclusioni e che mi sento tranquilla solo quando ho un progetto in mente e davanti a me un po’ di strada da fare.

Comunque questo agosto settembrino mi piace da impazzire. In città non c’era nessuno, stamattina. Strade sgombre e un silenzio irreale, attraversavo pigramente lontano dal semaforo, fra un motorino e un autobus mezzo vuoto. Alle dieci ero già fuori dal parrucchiere, con la testa leggera e il portafogli sgonfio, troppo di buonumore per prendermela con la pettinatura da re leone che mi portavo a spasso. Mi sono infilata in un negozio, mi sono fatta i codini e ho speso quello che avevo ancora in tasca negli ultimi saldi, quelli in cui trovi tutto a cinque euro e non c’è nessuno a spintonarti perché il meglio è già andato e chi può è in vacanza.

A mezzogiorno era di nuovo agosto. Una parentesi, evidentemente. Caldo, persone sudate e cariche di borse sull’unico autobus che andasse a levante. A casa ho rimandato tutto finché ho potuto, e quindi devo ancora finire la valigia. Mi aspettano tre ore di viaggio e tante curve, ma parto volentieri. Avrei voglia di partire così, in tuta e con quel poco che può stare in una borsa, ma so che me ne pentirei dopo mezz’ora. Io non sono così, questa leggerezza non mi appartiene, dura poco più di un giorno e poi ho di nuovo la testa piantata a terra e i piedi nelle nuvole.

Io non viaggio leggera, purtroppo.

Trivia /2

Lo so, è un mezzuccio bieco e abbondantemente già sfruttato. Ma vale comunque un’occhiata, perché alcuni casi sono davvero singolari e inquietanti. Quindi, ladies and gentlemen, ecco cosa dovreste digitare in un motore di ricerca se mai voleste raggiungere questo blog.

Manuale corso autodidatta chitarra – Ok, questo lo capisco, prima di spendere i soldi per il manuale (al corso ha già rinunciato, visto che è autodidatta) vuole essere sicuro di cosa offre il mercato, sperando magari di imbattersi in un sito che spieghi tutto gratis. (Aspirante) musicista bohémien.

Dipingere pooh – Ma non intenderà mica il gruppo?!

Fermate love ne austri – ?! Non capisco. Non capisco né il significato, né cosa c’entri tutto ciò con il mio blog. Si accettano suggerimenti.

Sesto senso dell’infermiere – Questo è interessante. Si vede che ho sempre sottovalutato gli infermieri.

Gastrite yogurt fa bene – Non saprei. Così su due piedi direi di no, i latticini in genere sono considerati poco digeribili. E, come ho detto altrove, si sa che lo yogurt gonfia. Magari prova con lo yogurt delattosato.

Parola patetica + significato – Questo cerca due piccioni con una fava: per qualche motivo vuole che gli si suggerisca una parola patetica e che se ne spieghi pure il significato (dovrà scrivere un sms strappalacrime ma il suo lessico sarà troppo limitato?). Immagino che non sia rimasto deluso: in questo blog di parole patetiche se ne trovano a volontà.

Significato della novocaina – Quanto al significato della parola (ma nessuno ha più in casa un dizionario??), bé, è un anestetico, mai stato dal dentista? Se invece cerchi un profondo senso metaforico… chiedi troppo. Prova su Wikipedia.

Last but not least: uno stronzo è arrivato su questo blog digitando in qualche motore di ricerca “ragazzini xxx“. Spero che fosse solo una curiosità per verificare se materiale del genere sia veramente accessibile e diffuso come si dice. In quel caso è un gioco stupido, e gli auguro una visita della polizia postale e, perché no, anche del fisco. In caso contrario, sono profondamente disgustata e non ho parole. Anzi, ne ho tre: mi-fai-ribrezzo.

L’allegra sagra del colpo di frusta

Sono tutta un livido.Perché sono stupida, ovviamente; le persone intelligenti smettono di andare sugli autoscontri a tredici anni. Io no: io comincio a ventisette. E ci vado con scarpe nuovissime (le stavo inaugurando) e con un tacco di nove centimetri che mi rende instabile da ferma, figuriamoci su un veicolo monoruota spintonato in tutte le direzioni da un branco di pazzi sadici.Però è divertentissimo: con la mia manciata di gettoni in tasca e il piede pronto sul pedale mi sono sentita proprio felice e spensierata. Per trenta secondi. Poi tre o quattro macchinine lanciate a folle velocità mi hanno stritolata contro un angolo della pista colpendomi in tutti gli angoli e sbatacchiandomi come un pupazzo da crash-test. Ho provato a vendicarmi, ma guidare un autoscontro non è facile come sembra: c’è questo volantino leggerissimo che gira solo a guardarlo, e come gli imprimi la minima rotazione continua a muoversi da solo; poi c’è la questione del pedale che secondo me è da chiarire perché l’automobilina va anche se non lo schiacci, apparentemente alla medesima velocità, quindi a cosa serve?; e infine c’è la variabile retromarcia, che si innesca da sola se il volantino viene ruotato eccessivamente in un senso e nell’altro, a quanto mi è stato spiegato perché sotto la macchinina c’è un’unica grossa ruota e girandola di 180 gradi si inverte il senso di marcia.

Insomma, è roba da esperti, e io che ho fatto giusto ieri i miei primi 50 km da automobilista (con la mia roboante Seat Marbella del ’93) non posso competere con dei ragazzini incattiviti che impennano su due ruote da quando avevano dieci anni, né tantomeno con dei trentenni ubriachi che mentre si tamponano si lanciano sputacchi e palline di carta. Però i miei dieci-dodici spintoni li ho dati pure io e ne porto i segni: macchie bluastre su braccia e ginocchia e una certa rigidità del collo. Ferite di guerra. Prometto di rifarmi alla prossima festa di paese.

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